Permessi 104, arriva la svolta: un giudice ribalta le regole sui licenziamenti e mette in crisi i datori di lavoro.
Sono anni che i permessi 104 rimangono uno dei temi più discussi per i soggetti con disabilità e per chi li assiste. Come stabilisce la normativa, questi vanno utilizzati solo ed esclusivamente in caso di necessità, e non per svolgere attività secondarie o giornate di svago. Su questo punto la legge – e con essa i datori di lavoro – sono sempre stati rigidi. Un diritto non si può negare, ma chi ne usufruisce deve poter dimostrare la propria buona fede.

Da qui nascono i casi controversi: tra chi li utilizza per fare una scampagnata in bici e chi, invece, deve persino giustificare di essere andato a fare la spesa per la madre per cui beneficia del permesso. A generare queste sentenze sono spesso datori di lavoro sospettosi che, secondo la legge, hanno il diritto di incaricare investigatori per verificare se il permesso venga usato correttamente o, al contrario, abusato. Ricordiamo infatti che dimostrarne l’uso illecito può portare al licenziamento.
Ed è proprio su questo che vogliamo soffermarci: un dipendente ha contestato tale provvedimento e, dalla sua sentenza, emerge un dettaglio che sfugge a molti datori di lavoro.
Permessi 104: la sentenza che ribalta le regole
La storia parte da Chioggia, dove un dipendente di un minimarket, titolare dei permessi 104 per via di una disabilità certificata, è finito nel mirino del datore di lavoro. L’azienda sospettava che usasse quelle ore non per l’assistenza, ma per occuparsi di altro. Per togliersi il dubbio, ha deciso di andare fino in fondo: incaricare un investigatore privato e farlo pedinare. Risultato? L’uomo è stato licenziato nell’aprile 2024, accusato di aver sfruttato i permessi per frequentare un’agenzia assicurativa.

Il lavoratore, però, non ci sta e porta la vicenda in tribunale. Ed è qui che il quadro si ribalta. La sezione lavoro del Tribunale di Venezia non solo annulla il licenziamento, ma dichiara illegittimo l’intero impianto accusatorio. Il motivo è chiaro: il ricorso a un’agenzia investigativa è consentito solo in presenza di sospetti concreti, oggettivi e specifici. In questo caso, i pedinamenti sono stati considerati sproporzionati e quindi le prove raccolte inutilizzabili.
Ma c’è di più. L’uomo non si recava in quell’agenzia per lavorare, come insinuato dal datore, bensì per passare qualche ora con un amico. Un comportamento che la giudice ha ritenuto coerente con le finalità dei permessi 104, che non si limitano all’assistenza domestica ma comprendono anche esigenze di integrazione familiare e sociale.
Il verdetto è netto. Licenziamento annullato, reintegro sul posto, pagamento degli stipendi arretrati e rimborso delle spese legali. Una sentenza come tante, ma che nel suo piccolo metterà un freno al fenomeno dei controlli indiscriminati e obbliga le aziende a ripensare il modo in cui vigilano sui propri dipendenti.